venerdì 18 marzo 2022

Il nemico alle spalle

Tremavo. Mi nascondevo. Stridevo. Piangevo.

Il Nemico era dietro di te: non sapevo aiutarti, non potevo proteggerti.

Quel Nemico che non conoscevo, non capivo…a stento Lo vedevo.

 Avrei voluto affrontarLo, sconfiggerLo, liberarti, liberarmi. Da quel senso di impotenza che mi aveva messo in trappola.

Cercavo di tenermi aggrappata al mio appiglio, ti tendevo la mano: dovevi solo afferrarla e tutto sarebbe andato bene.

Ma il mio appiglio era un gracile ramo, mi tenevo invano, si è spezzato presto.

E mentre il Nemico ti spingeva sul fondo, io venivo trascinata con te.

Vedevo ogni cellula del tuo corpo bramare ossigeno come un pesce che sott'acqua non sa più respirare.

Mi ripetevo di rimanere tranquilla, che di ossigeno nelle mie vene ne scorreva abbastanza, che di affannarsi non c'era motivo.

Ma mi sentivo il mondo addosso…e niente mi dava sollievo.

Mi portavo addosso la paura dei Suoi assalti - cercavo di dissimularla.

Mi portavo addosso le mie paure - cercavo di fingere che non esistessero.

Vivevo nella dolorosa aspettazione dei Suoi attacchi, pronta- credevo- a tenderti la mano per fingere che non stessimo realmente precipitando.

Speravo. Speravo che tu aprissi gli occhi e trovarsi la forza per combatterLo davvero.

Ma il tempo scorreva e ogni mia speranza, naufraga, a riva si arenava, mentre guardavo i miei frammenti disperdersi in balia delle correnti…

Poi ho aperto gli occhi:

Si dice che dal fondo si possa solo risalire; si dice che sul fondo si possa ancora scavare.

Ma io sapevo che non avrei potuto tollerare che quei giorni in caduta libera fossero tutta la mia vita.

Una telefonata. Una valigia. La stazione. Tu e il tuo Nemico all'attacco.

Questa volta su di me.

Panico.

Spalle al muro, guardandovi negli occhi, mi concentravo sulla mia via di uscita.

Rivivo quelle ore ora.

Rivivo quelle ore e mi domando come abbia potuto uscirne salva.

Rivivo quello scontro e rivedo le ferite.

Le ricordo, ancora aperte, sanguinare senza sosta.

Le ricordo con la crosta, che cercava di richiuderle.

Le ricordo aprirsi all'improvviso per urti troppo flebili.

Ma le guardo ora: sono rimaste solo cicatrici.

La cicatrice è così, si sa, fa male quando cambia il tempo, è innocua quando il sole splende.

Nei giorni piovosi la si sente pizzicare, impregnata di ricordi…impregnata come il bucato che ho steso stamattina: è arrivato l'acquazzone e ha provato ad annegarlo.

Ma si asciugherà perché ... basta il tempo. basta il vento.

 

martedì 31 dicembre 2019

A chi importa del domani (finché non arriva)?


Devo lasciarti in questo anno.

Lasciarti con la consapevolezza che il mio spiccato intuito con le persone fallisce quando in ballo entrano i miei sentimenti.

Lasciarti con tutta la sequenza di ricordi che mi scorre davanti agli occhi.

Avvenimenti, gesti, sensazioni e parole si accavallano.

Uso ancora una volta le parole, quelle che meno significato hanno avuto in questa parentesi che ci ha racchiuso per un po’. Le sensazioni -quelle no- non riesco a spiegarle: non so spiegare quelle di tre anni fa, al matrimonio che ci ha visti vicini per la prima volta e senza implicazioni.

Non so spiegare quelle che ho provato quando ho capito che non era successo tutto solo nella mia testa e che le avevi vissute anche tu.

Quelle della sera in cui ti tenevi stretto per paura della mia incoscienza dopo avermi ceduto inaspettatamente il tuo posto di guida. L’imbarazzo sotto quel cielo stellato e ognuno di nuovo al suo posto verso casa.

Tutto quello che ne è seguito – tutto quello che è stato – è arrivato come se sospinto da una forza incontrollabile a cui abbiamo voluto abbandonarci: cinque giorni di incontri, qualche mese di tira e molla. La sensazione di essersi trovati e d’incastrarsi come a Tetris.

Fino al giorno in cui mi hai detto che avevi chiuso con lei.

Un biglietto in tasca per venire da me e un sorriso timido sulle mie labbra che cercava di non esplodere perché mi hanno insegnato che le aspettative rovinano i momenti. Perché avevo paura.

E non ho avuto neanche il tempo di realizzare cosa stava accadendo che quella stessa porta aperta si è richiusa davanti a me mentre io l’accompagnavo. L’accompagnavo con le parole che tu volevi usassi con lei…

Mi scorrono ancora davanti tutti i momenti, scorrono anche quelli che avevamo vissuto solo nella mia immaginazione.

Poi indugio sulle mie e le tue parole di commiato.

Io che ti accuso di codardia, di esser guidato solo dai ricatti morali di lei – pianti sincopati, tragedie e malesseri simulati…tu che confermi. Confermi che a volte bisogna trovarsi nelle situazioni per capire certe scelte, che buttare alle ortiche così cinque anni è un peccato.

E io che capisco che sei come tutti gli altri, che andrai avanti come tutti gli altri. Perché è più facile, perché hai paura, perché noi non saremmo una certezza.

Anche se non la ami. Anche se non riesci a dirmi di lasciarti stare, di chiudere ogni ponte perché tieni a lei.

Chiudo quest’anno pensando che avrei amato l’idea che mi ero fatta di te ma comprendendo che era tutto solo nella mia testa.

La tua vita è più facile senza di me, questo è il punto.

Ed io non sono nella posizione di mostrarti come sarebbe stata con me.

Per cambiare ci vuole coraggio.

Per amare ci vuole coraggio.

Per andare quando è il momento ci vogliono forza e coraggio. Ci sono conseguenze da affrontare, difficoltà da superare. Ed io… io non ho altro modo di lasciarti in quest’anno che così.


domenica 11 gennaio 2015

Lotta.


Eccolo il mio nuovo proposito. E non dipende dal nuovo anno.
La mia vita non volta pagina solo per un numero diverso sul calendario. Tutti i giorni un giorno passa e un numero cambia.
I propositi scaturiscono dai pensieri, dalle giornate, dalle esperienze...dal tempo che scorre...dalle occasioni perdute.

Sono sempre indaffarata a rincorrere il tempo: faccio tutto quanto in mio potere per allungare il mio giorno il più possibile. Eppure mi alzo spesso con l'ansia.

Mi sono alzata con l'ansia anche stamattina...Ansia di cose da fare. Ansia di cose da dire.
Non riesco più a mettere in ordine i miei pensieri da anni, non riesco a chiarirmeli. Non riesco più quasi nemmeno a metterli per iscritto. Nemmeno a me stessa.
Sento quest'assurda mancanza che non so come colmare. Questa voglia di fare che non so come sfogare. E questa paura bloccante della mediocrità che mi tiene bloccata e non mi permette di staccarmene.

Mi scappa tutto dalle mani, non so cosa fermare. Non so dove fermarmi. Non so se fermarmi. Non so nemmeno più in che direzione correre.

Io vorrei fermarmi. Vorrei soffermarmi.

Aspetto che qualcuno mi distolga dalla smania mentre osservo quello schermo aspettando che mi dica adesso tu a cosa stai pensando, se ti torno in mente alle volte, e quale sensazione ti assale quando mi ricordi.

Forse mi capiresti. O forse no.
Forse per certi versi vorrei essere come te, anche se ho solo una vaga idea di quanto debba esser dolorosa la tua solitudine certe notti.
Vorrei trasformare questo silenzio nella nostra zona di comfort.
Invece è inespugnabile, paralizzante, vuoto, doloroso.

Urla.

Urla tutta la sua insoddisfazione, tutta la sua frustrazione, tutte le sue speranze, tutto l'affetto, tutta la sua instabilità.
Urla la delusione che non riesco ancora ad esprimere a parole dei disattesi "Io per te ci sarò sempre". Grida al vento il tradimento ma nessuno lo ascolta.

La lotta. Ecco quale soluzione vedo.

Solo la lotta.

La vita è una lotta continua, una serie di battaglie contro noi stessi prima di tutti.
La nostra zona di comfort...è solo un posto per ricaricarci per la lotta continua.

Il drago è sempre lì...Lotta.
Illuditi almeno di poterti mettere in salvo.

domenica 25 marzo 2012

Spazi

Io e questo spazio bianco che non so come riempire. 
Io e tante cose da dire.
Io e... si guadagna a tacere certe volte...
Ma tra i propositi per quest'anno (che tra l'altro evito sistematicamente di fare per ovvie ragioni) qualcosa deve per forza rientrare.
Ed il primo è...: chiarezza. Chiedo a me stessa di parlarmi con chiarezza, di vedermi con chiarezza, di mostrarmi con chiarezza, di esprimermi con quella stessa chiarezza.

"Il 99% di quello che è successo è stato dovuto ad errori di comunicazione, comprensione e alla nostra immaginazione che ha lavorato più  dei fatti."

E cosa siamo noi? Un’indagine di mercato? Quando la smetterai di analizzare tutto come se si trattasse di dati oggettivi da manipolare?
Non sopporto questo silenzio, non ci sono abituata. Ma so bene che sia meglio così. Solo non è facile per me. E ormai Mattia Pascal è sparito, non mi resta che scacciarne fino all’ultimo residuo e guardare avanti.  So che non mi sentirò mai pronta per questo, devo solo farlo.

domenica 11 dicembre 2011

Come un fremito.

Mi sono svegliata che ogni fibra del mio corpo tremava.
Mi sono svegliata e avevo addosso un'orribile sensazione, una paura immotivata.
Mi sono svegliata e mi è servito qualche istante per realizzare cosa stava succedendo.
Quando l'ho capito, non ho potuto che chiedermi se dovessi esserne spaventata o felice.

E' strano. Intendo... è strano tremare dal terrore che accada qualcosa che in realtà ha già avuto luogo. Soprattutto quando si tratta di qualcosa che indiscutibilmente non potrà mai ripetersi.
Ma la domanda è: dovrei sentirmi tranquilla per la certezza che ormai sia accaduto o dovrei preoccuparmi per non esser ancora riuscita a metabolizzare minimamente ciò con cui devo ormai convivere?
Chi può dirlo.
L'unica cosa che so è che ho bisogno che continui a portare il mio tempo. Mi accontenterò di questo se è tutto quello che posso avere. Ci saranno parole nel tempo che scorre, lacrime - ma solo nella mia mente- e terrore che non posso controllare.
Ci saranno cose non dette, cose che ricordo, sorrisi sfuggenti, pensieri su cui non mi ero mai soffermata che alla luce degli eventi assumono tutt'altro significato.
Ci sarò sempre io. Ci sarò sempre per me- come quell'entità indissolubile che sono per me stessa- non fosse che per il fatto che siamo fisicamente inscindibili. Ma cercherò di portarti con me. Portare con me le tue parole. E forse cercherò di ascoltarti, come facevo quando c'eri, pensandoti come se nulla fosse cambiato, immaginando che tu sia ancora lì.
Poi penso alla tua voce, alla consapevolezza che sentirla mi farebbe credere amata per quello che sono, nonostante non sia diventata quello che ti saresti aspettato da me. Allora guardo il mio telefono, penso che potrei chiamarti, penso che il tuo numero è ancora memorizzato lì. Ed è quello il momento in cui realizzo che ho il terrore anche solo di guardarlo e non so perché. E' solo un numero in fondo. Dieci cifre custodite nella memoria del mio telefono. Dieci cifre che ormai non hanno più alcun senso. Dieci cifre che mi spaventa inspiegabilmente anche solo riguardare.
E non so perché. Non potrebbero nuocermi in alcun modo.
Penso che prima o poi la compagnia telefonica le riabiliterà per qualcun altro.
Penso perciò che se ci tengo ad usarle ancora una volta... dovrei farlo adesso. Ma io so a cosa mi collegherebbero. Io so dove siete. Tu e le tue cifre.
Non so perché lo faccio.

Scorro la mia rubrica, ti ritrovo, guardo quelle cifre perché non ho paura. Perché non devo aver paura.
Tanto lo sanno tutti che il cliente in questione non è al momento raggiungibile.
Fa un po' strano che dicano ancora "al momento". Penso che sia perché nessuno si preoccupa di cosa accade a quelle dieci cifre. Penso che a nessuno in realtà interessi veramente che dopo qualche anno di inutilizzo saranno riassegnate. E penso di esser l'unica a pensare a queste cazzate, giusto per evitarmi per un paio di minuti il resto.

E penso che ci siano buone probabilità che domani mi risvegli ancora in preda ai tremori e alla paura che accada l'irrimediabile ma almeno so che non dovrò rifletterci più granché perché anche certi pensieri dopo un po' si scoloriscono e rimane solo quella impalpabile sensazione di malinconia che mi pervade.

domenica 18 settembre 2011

A Te...che parli con l'altra Me.

Oggi ho deciso finalmente di far pulizia tra le mie cose... quelle cose che mi tengono ancorata al passato, ad un certo passato che vorrei lasciarmi alle spalle. E la parte peggiore tra queste cose sono le pagine dei sentimenti che provavo nei miei momenti peggiori e che ho conservato con un certo qual senso di auto-lesionismo.
Basta darci un'occhiata per sprofondare all'improvviso in quelle stesse sensazioni. Ma non ho deciso di farci pace...con certe cose non si fa pace. Ho deciso di rimuoverle e le ho strappate. E buttate.
Tra le altre cose ho trovato però parole che qualcuno scrisse a me anni or sono e che mi limito a riportare, perché autoesplicative. Recitavano così:

"L'amore è il valore summa per cui vale la pena vivere, è una magia, un "miracolo" che il Fato, gli dei ci concedono. Gli uomini, di solito, lo sciupano, non lo riconoscono, lo bistrattano, fanno confusione, rinunciano a viverlo per paure di vario genere... ma... solo l'amore rende liberi.
[...]
La gente è capace di amarci per quello che siamo... non dobbiamo essere necessariamente "onnipotenti, perfetti, irreprensibili, dolorosamente coerenti, responsabili, maturi e stabili" per esser degni di un amore.
[...]
Un amore lo si costruisce con pazienza, dedizione, comprensione, rispetto... non si può avere tutto e subito... talvolta è un gioco sottile, doloroso, fatto di paura, di paura di donare, di diventare "preda" dell'altro, di lasciarsi andare, lasciarsi scoprire per quello che si è veramente e temere di essere, invece, traditi, non compresi, lasciati...
[...]
Molto spesso ci condanniamo ad essere gli inesorabili carnefici di noi stessi, ci esponiamo alle peggiori angherie per espiare ipotetiche colpe, non avendo mai pagato abbastanza il grave peccato di essere venuti al mondo e di averlo fatto nella maniera più discreta possibile, con una domanda d'amore intollerabile, sempre gridata a gran voce."





venerdì 16 settembre 2011

Galleggiare o gareggiare?


Stamattina sono stata in piscina. A centro vasca ad un certo punto mi son fermata perché una domanda mi ha all'improvviso occupato la mente. Ancora cercavo di comprenderla che già avevo ripreso a nuotare con più forza. La domanda era: nuoto per galleggiare o per gareggiare?
Il punto è che siamo tutti nelle stesse acque se vogliamo. Ma ognuno in condizioni diverse. Ma la cosa che dovrebbe effettivamente accomunarci/distinguerci è proprio l'intenzione.
Nuotiamo solo per stare a galla e fare le vasche che abbiamo nelle gambe e nelle braccia o nuotiamo per allenarci, per primeggiare, per stare bene con noi stessi, per fare più vasche possibile...?
E ho realizzato cosa ho fatto negli ultimi anni. Tanti anni.
Ho realizzato che quando ci lasciamo andare all'apatia e  ci diamo alla filosofia del "mo vediamo" - beh, quando lo facciamo- stiamo facendo una scelta inconscia. Stiamo inconsciamente scegliendo che siano gli altri e gli avvenimenti a decidere cosa sarà di noi. Noi... cerchiamo solo di rimanere a galla. Ma è questo che vogliamo davvero? E' questo che siamo? Creature fatte per lottare una vita semplicemente per restare a galla? E non sarebbe forse meglio a quel punto mandare giù acqua- più acqua possibile- e lasciarci cadere sul fondo?
Forse no, perché probabilmente potremmo voler evitare che qualcun altro ci salvi. Perché se qualcuno ci salvasse...poi avremmo modo di vergognarci di noi stessi, di dover esser grati a qualcuno, di dover dimostrare qualcosa...
Oppure...potrebbe anche accadere che la botta sul fondale ci incitasse a darci una spinta per riportarci su, magari con una ritrovata voglia di farcela.
E' la molla che manca.
Non si torna mai indietro purtroppo.
Ma non siamo niente se cerchiamo solo di galleggiare.
E' tempo di cominciare ad allenarsi per gareggiare. A galleggiare... abbiamo già imparato. Bisogna aggiungere qualcos'altro, vincere qualche paura...

Il nemico alle spalle

Tremavo. Mi nascondevo. Stridevo. Piangevo. Il Nemico era dietro di te: non sapevo aiutarti, non potevo proteggerti. Quel Nemico che n...